Mi allontano così da questo punto vibrante del tempo, dall’attimo che può essere eterno e quindi condurre alla follia. Mi allontano oltre il vago presentimento, quello che viene prima del sentimento, per annullare falsi battiti di cuore e ciglia, racchiudendo il mio me stesso in un punto indefinito, dove l’esercito delle genti sia lontano da me in modo da non esserne più tallonato, controllato a vista come dai balconi, dalle strade ai bordi alti di città dove scattare con la memoria immagini panoramiche di realtà che preferiremmo vedere offuscate da un leggero velo di fumo e incandescenza rossastra. E’ meglio non vederci chiaro quando il sudiciume e la grettezza s’inspessiscono come vermi sul nostro pane quotidiano o su altri cibi da evitare (accuratamente).
Siamo una folla, uno sciame. Viaggiamo in eserciti e una sola bomba non è mai abbastanza. Siamo l’alveare ed ogni casa è il nostro nido ma ci accorgiamo che di fiori dove posarci ce ne sono sempre meno. Così la confusione della tecnologia ci irretisce con i suoi oracoli di guerra senza pace, tra le reti di pensieri tutti uguali uno all’altro, uno dietro l’altro, come catene di montaggio delle stesse idee ripetute per anni e anni. La stessa identica fabbrica delle idee. Siamo i falsificatori e i copiatori, coloro che fanno girare la stessa identica “notizia” da secoli e millenni. Stiamo per giungere alla rotta di collisione tra il possibile e il poco probabile, il punto di rottura, un salto al di là della nostra stessa biologia.
La vita vera non si può ridurre a parole dette o scritte, nessuno può farlo, mai. La vita vera si svolge quando siamo soli, quando pensiamo, percepiamo, persi nei ricordi, trasognati eppure presenti a noi stessi, gli istanti submicroscopici.